Diamantina e il monte della birra

Diamantina visse a Forlì nel XVII secolo e di mestiere faceva la “guaritrice”. Per le sue pozioni si serviva di erbe e altre sostanze misteriose, che riduceva in pillole, impiastri e altri intrugli.
Era l’epoca della caccia alle streghe e Diamantina forse scontentò qualcuno, perché venne accusata di stregoneria e processata.
Poiché era vecchia evitò il rogo, ma venne cacciata dalla città, con l’ordine di non tornare mai più.
Diamantina andò quindi a vivere sulla collina che guarda Castrocaro, a quel tempo coperta di faggi e di castagni. Con l’aiuto di qualcuno riuscì a costruirsi una capanna, dove continuò a preparare le sue “diavolerie”.
I Castrocaresi si abituarono a quella vecchia solitaria, che in rare occasioni scendeva in paese, e poiché non dava loro alcun fastidio la lasciarono sempre in pace.
Credendo però che se la facesse con il Diavolo, che in dialetto locale era chiamato “bèrr”, le attribuirono il nome di “bèrra”, cioè moglie del Diavolo.
E il monte dove lei viveva, venne chiamato “e’ mònt d’la bérra”, il monte della birra.

Il pozzo “a rasoi” di Caterina Sforza

La leggenda afferma che nella parte alta della Fortezza (il cosiddetto Girone) ci sia un pozzo-trappola, nel quale venivano precipitati gli amanti scomodi di Caterina Sforza, la battagliera e sensuale contessa di Forlì e di Imola. Il pozzo, assai profondo, esiste davvero, ma ingombro di macerie. Un documento dell’epoca ne attesta la profondità in 95 braccia fiorentine, pari a 55 metri !
Cosa ci sia in fondo al pozzo è un mistero, che potrà essere sarà svelato solo in un modo.

Figlia illegittima di Gian Galeazzo Sforza, Caterina nel 1477, a soli 14 anni, venne data in sposa a Girolamo Riario, nipote di papa Sisto IV, assassinato a Forlì nel 1488. Due anni dopo si sposò segretamente con Jacopo Feo, che nel 1495 venne anch'egli assassinato. E nel 1497 Caterina si risposò nuovamente, ancora in gran segreto, questa volta con Giovanni de’ Medici, detto “il Popolano”, cugino di Lorenzo il Magnifico. Il 6 aprile 1498 da quel matrimonio segreto nacque il celebre Giovanni dalle Bande Nere, padre del primo Granduca di Toscana, il famoso Cosimo I de’ Medici. Ma anche Giovanni morì prematuramente, questa volta di malattia, il 14 settembre 1498, dopo soli due anni di matrimonio. Le sfortune di Caterina continuarono, poiché il nuovo papa Rodrigo Borgia (Alessandro VI) le tolse la signoria di Imola e Forlì affidandola al figlio Cesare Borgia, detto "il Valentino". Fu in quel contesto che Caterina rese note le sue nozze con Giovanni de' Medici, e lo fece a Castrocaro il 14 agosto 1499. Poche settimane più tardi iniziò l'assedio della Rocca di Forlì, dove Caterina si era asseragliata; il 12 gennaio 1500, dopo un pesante bombardamento, Caterina si dovette arrendere alle truppe del Valentino. Venne fatta prigioniera e condotta a Roma, dove rimase in catene fino al 30 giugno 1501, quando, per intercessione del Re di Francia e firmata la rinuncia alla signoria di Forlì, venne lasciata libera di vivere a Firenze. Morì nel maggio 1509, all'età di 46 anni.

Jacopa, la spia gravida

Nel 1556 Carlo Neroni, Capitano di Giustizia della Romagna toscana, che aveva sede a Castrocaro, fece arrestare una giovane lavandaia del paese, di nome Jacopa, con la pesante accusa di spionaggio militare.

Tutte le mattine Jacopa era solita recarsi a piedi a Forlì, dove svolgeva il suo mestiere di lavandaia. In città frequentava Girolamo, un giovane col quale intratteneva un rapporto amoroso. Girolamo non era però un giovane qualunque, bensì il figlio di Achille del Bello da Castrocaro, un ribelle che qualche anno prima era dovuto fuggire dal suo paese con tutta la famiglia per una fallita congiura contro il Granduca Cosimo I de’ Medici.
Girolamo si serviva dunque di Jacopa per carpirle notizie sui movimenti di truppe a Castrocaro, sul numero di guardie alle porte cittadine, ed altro ancora.
Jacopa, forse innamorata di Girolamo, non si rendeva conto che stava favorendo le mire sovversive di un pericoloso fuoriuscito, e ne parlò ingenuamente con una amica: Lucia, anch’essa di Castrocaro.
Ma Lucia non era un’amica, perché ne parlò ad un soldato del Castellano, il quale a sua volta informò il Capitano di Giustizia.
Durante l’interrogatorio Jacopa negò l’accusa, ma sottoposta alla tortura con la carrucola ammise tutto. Infine, piangendo disperata, disse di essere incinta.
Il Capitano Neroni la fece quindi imprigionare nelle segrete della Fortezza, in attesa di capire se fosse veramente gravida.
Nel frattempo scrisse al Granduca, informandolo di ogni cosa e attendendo disposizioni in merito.
Quella lettera, datata 28 agosto 1556, è stata recentemente rinvenuta nell’Archivio di Stato di Firenze, ma le ricerche successive non hanno dato nessun esito, e l’epilogo della triste vicenda è ancora avvolto nel mistero.

Una storia d’amore e di morte nella Fortezza di Castrocaro: Margherita

Agli inizi del Duecento era in atto in Romagna una sanguinosa lotta tra le famiglie consanguinee dei conti Calboli di Forlì e dei conti di Castrocaro.  Nel 1253, per porre fine alle gravi inimicizie e ai numerosi delitti, che per “mano del diavolo” (istigante diabolo) dividevano le due famiglie, papa Innocenzo IV autorizzò il matrimonio tra due giovani cugini appartenenti alle opposte famiglie: Guidone dei Calboli e Margherita dei Conti. I genitori di Margherita non avevano però considerato i sentimenti della  figlia, che si oppose con fermezza al matrimonio con il cugino Guidone.  Ma nonostante il suo fermo rifiuto le opportunità politiche prevalsero sull’amore di Margherita, e la data delle nozze venne fissata.
Margherita, che fino a quel giorno aveva amato profondamente la figura paterna, si trovò ad avere  suo padre Bonifacio come “nemico”.  La giovane Margherita vide così svanire il suo intenso sogno d’amore, e pervasa da profondo dolore giunse quindi all’estremo rifiuto.  Per il suo sacrificio scelse la torre più alta del castello, dall’alto della quale, in una notte ventosa e senza luna, si lasciò cadere nel vuoto, ponendo così fine alla sua giovane e infelice vita.

Ancora oggi si racconta che in certe notti senza luna par di udire il suo pianto d’amore, che il vento porta a perdersi nella valle.

La famiglia dei Conti di Castrocaro fu una delle più agguerrite dell’Appennino romagnolo, e persino Dante si rammaricò della sua prolificità:

Le donne e ’ cavalier, li affanni e li agi
che ne ’nvogliava amore e cortesia
là dove i cuor son fatti sì malvagi.

O Bretinoro, ché non fuggi via,
poi che gita se n’è la tua famiglia
e molta gente per non esser ria?
Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;

e mal fa Castrocaro, e peggio Conio,
che di figliar tai conti più s’impiglia.
(Divina Commedia, Purgatorio)